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Derivato dalla contrazione della definizione inglese Popular art (arte popolare), il nome di questa tendenza designa una duplice esperienza, sviluppatasi prima in Gran Bretagna alla metà degli anni cinquanta e in seguito negli Stati Uniti. Il grande successo di questa corrente si lega però agli anni della sua diffusione oltreoceano, dove, più che in ogni altro luogo del mondo, l’arte poté incarnare il mito e il sogno della società del benessere per tutti. Ispirandosi ai linguaggi della comunicazione di massa (cinema, televisione, manifesti pubblicitari, fumetti e rotocalchi) la Pop Art cominciò a proporre come proprio esclusivo soggetto il mondo degli oggetti di consumo, prodotti in serie dall’industria, promossi dalle réclame ed esposti nei supermercati, che vennero elevati al rango di opera d’arte in quanto simboli per eccellenza della società contemporanea.

Andy Warhol, con un passato da vetrinista e illustratore commerciale, approdò ad un linguaggio estetico in cui, bandita ogni impronta personale, si conferiva all’opera un’assoluta neutralità comunicativa. A tal fine Warhol adottò tecniche di produzione industriale dell’immagine e inventò la cosiddetta Factory, vera e propria officina dell’arte, che diede alla luce creazioni industriali di immagini i cui protagonisti erano i beni di largo consumo. Egli non inventava, ma riproduceva all’infinito le cose che facevano parte della cultura americana contemporanea. Nella maggior parte delle immagini di Warhol l’oggetto di consumo è ripetuto più volte. La ripetizione rispecchia la sua natura di prodotto industriale, realizzato in serie, esposto sugli scaffali dei supermercati e proposto dall’invadenza visiva dei messaggi pubblicitari.

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Alle stessa stregua l’artista trattò anche i volti dei protagonisti dello star system, come Marilyn  Monroe ed Elvis Presley.

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A partire dal 1962 Andy Warhol realizzò una serie di opere dedicate a Marilyn Monroe, l’attrice americana morta proprio quell’anno e divenuta una dei miti del cinema americano. L’autore utilizza la stessa fotografia che ritrae Marilyn sorridente e la ripete più volte rielaborandola solo dal punto di vista cromatico. La ripetizione e moltiplicazione dell’immagine sembra annullare l’identità e la personalità del soggetto ritratto e lo accomuna a uno dei tanti prodotti inscatolati che si trovano sugli scaffali dei supermercati, pronti per essere consumati. Anche il procedimento meccanico della fotoserigrafia, utilizzato per la sua realizzazione e ben diverso dalla pratica manuale della pittura, contribuisce a creare un’immagine stereotipata e distaccata.

La fotografia utilizzata da Warhol era stata realizzata alcuni anni prima per pubblicizzare un film di Marilyn. L’artista restringe l’inquadratura mettendo in primissimo piano il volto e lo colora con tinte innaturali stese in modo piatto, con l’esito di annullare ogni effetto tridimensionale dell’immagine. Tuttavia i cambiamenti di colore mettono in evidenza ogni volta elementi diversi del ritratto: i capelli, gli occhi, la bocca, dando vita a immagini che comunicano allo spettatore impressioni differenti.

VIDEO

ANDY WARHOL – MARILYN – TRECCANI

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