IL NOME
classe terza prima parte
Il nome è quella parola che all’interno della frase serve ad indicare tutto ciò che esiste e che si può percepire con i sensi (persone, animali, cose, luoghi), e tutto ciò che pensiamo o proviamo (sentimenti, idee).
Il nome è una parte variabile del discorso, infatti può essere di genere maschile o femminile, e di numero singolare o plurale.
Come hai già studiato, i nomi possono essere comuni o propri.
I nomi comuni indicano genericamente persone animali o cose.
I nomi propri identificano precisamente una certa persona, un particolare animale o una cosa, distinguendola dalle altre della stessa categoria.
Facciamo un esempio.
Una classe è formata da tanti bambini e bambine.
Bambino/a è un nome comune e si riferisce a tutti gli alunni.
Tuttavia ogni bambino ha anche un nome proprio, che lo identifica e lo distingue dagli altri.
Quindi in una classe di bambini, uno si potrà chiamare Matteo, uno Enrico, uno Francesco…
Il suo nome comune è gatto.
Il suo nome proprio è Pallino.
Come ricorderai, il nome proprio si scrive con la lettera maiuscola!
Il nome insieme al verbo è la parte più importante del discorso e solitamente è preceduto dall’articolo.
Esempio: Il cane mangia.
Il = articolo determinativo, maschile, singolare.
cane= nome comune di animale, maschile, singolare.
mangia= verbo (presente).
Lo scorso anno, abbiamo osservato che una frase può essere composta da parole che hanno funzioni diverse.
Le abbiamo messe in sacchi di colori diversi.
Il nome era nel sacco verde.
In questo sacco sono presenti alcuni nomi comuni di persona, animale e cosa.
Questi nomi sono concreti perchè indicano persone, animali, oggetti che esistono nella realtà e che possiamo vedere o toccare.
Quest’anno scoprirai che i nomi possono essere anche astratti.
Sono astratti i nomi che indicano idee o sentimenti che non puoi toccare con le mani perché sono prodotti della mente.
Pensa ai nomi: felicità, giustizia, povertà, tristezza, speranza…
Essi rappresentano idee e non hanno consistenza fisica, come può averla un tavolo, un albero, una persona.
IL NOME : GENERE E NUMERO
classe terza seconda parte
Di solito, il genere e il numero dei nomi è identificabile osservando la loro desinenza.
Il nome infatti contiene una parte iniziale che si chiama radice e che resta invariata e una parte finale, detta desinenza, che cambia in base al genere e al numero.
Esempio:
BAMBIN-O genere: maschile, numero: singolare
BAMBIN-A genere: femminile, numero: singolare
BAMBIN-I genere: maschile, numero: plurale
BAMBIN-E genere: femminile, numero: plurale
Di solito quindi, dalla desinenza puoi capire se il nome è maschile o femminile.
Questo non vale per i nomi che al maschile e al femminile diventano parole completamente diverse:
MARITO – MOGLIE
SORELLA – FRATELLO
PADRE – MADRE
UOMO – DONNA
TORO – MUCCA
MASCHIO – FEMMINA
E non vale per i nomi che mantengono la stessa forma sia al maschile che al femminile:
IL NIPOTE – LA NIPOTE
IL PARENTE – LA PARENTE
IL COLLEGA – LA COLLEGA
IL CANTANTE – LA CANTANTE
IL PEDIATRA – LA PEDIATRA
In questi casi, per capire il genere dei nomi, ti sarà di aiuto la presenza dell’articolo(ma anche di eventuali aggettivi che lo accompagnano).
Se l’articolo è femminile, lo sarà anche il nome, se l’articolo è maschile, anche il nome sarà dello stesso genere.
Allo stesso modo, l’articolo aiuta a capire se il nome è singolare o plurale per tutti quei nomi che mantengono la stessa forma sia al singolare che al plurale:
IL CAFFE’ – I CAFFE’
IL PAPA’ – I PAPA’
IL GORILLA – I GORILLA
LA TRIBU’ – LE TRIBU’
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Si può trasformare il genere solo dei nomi di persona o di animale.
Cambiando di genere i nomi di cosa, può capitare di trovare due parole con un significato completamente diverso:
IL FOGLIO – LA FOGLIA
IL FILO – LA FILA
IL BANCO – LA BANCA
IL PIZZO – LA PIZZA
IL POSTO – LA POSTA
IL COLLO – LA COLLA
IL MENTO – LA MENTA
IL PORTO – LA PORTA
IL MANICO – LA MANICA
IL TUBO – LA TUBA
I NOMI ASTRATTI E CONCRETI
In base al significato, i nomi possono essere distinti in CONCRETI o ASTRATTI, PROPRI o COMUNI, INDIVIDUALI o COLLETTIVI.
Adesso parliamo dei nomi astratti e concreti.
Fino ad ora hai conosciuto i nomi concreti.
Sono CONCRETI i nomi che indicano persone, animali, oggetti reali che si possono percepire con i sensi.
Bambino, gatto, rosa, sedia, mela… sono nomi che indicano persone, animali, cose che è possibile toccare, vedere, sentire, annusare o gustare.
I nomi ASTRATTI invece indicano entità non percepibili con i sensi, perché rappresentano idee e concetti prodotti dalla mente, sensazioni, emozioni che hanno una consistenza interiore, ma non si possono rappresentare fisicamente.
Quando diciamo la parola tristezza, noi vediamo o tocchiamo una persona triste, ma non la sua tristezza.
Allo stesso modo, possiamo vedere una persona intelligente, ma non la sua intelligenza.
Le parole giustizia, libertà, onestà, indicano concetti astratti di cui possiamo vedere manifestazioni ed effetti nella nostra vita ma che non possono essere percepiti direttamente con i sensi.
In questi esercizi dovrai riconoscere, in un elenco, i nomi astratti.
http://www.atuttalim.it/index.php/grammatica-nomi-astratti-1
http://www.atuttalim.it/index.php/grammatica-nomi-astratti-2
http://www.atuttalim.it/index.php/grammatica-nomi-astratti-3
http://www.atuttalim.it/index.php/grammatica-nomi-astratti-4
http://www.atuttalim.it/index.php/grammatica-nomi-astratti-5
I NOMI ALTERATI
classe terza
Come sai, il nome è formato da una parte invariabile detta RADICE, e una parte variabile che è la DESINENZA:
GATT – O
GATT – A
GATT – I
GATT – E
Gatto è un nome PRIMITIVO, cioè formato dalla radice e dalla desinenza e che non deriva da alcuna parola.
Se aggiungiamo alla radice GATT il suffisso IN e la desinenza O, abbiamo la parola GATTINO (piccolo, gatto).
Se aggiungiamo alla radice GATT il suffisso ACCI e la desinenza O, abbiamo la parola GATTACCIO ( brutto, cattivo gatto).
Se a GATT aggiungiamo il suffisso UCCI e la desinenza O, abbiamo un GATTUCCIO (graziozo gattino).
Ugualmente se aggiungiamo alla radice RAGAZZ il suffisso ETT e la desinenza O, troviamo la parola RAGAZZETTO (giovane, piccolo ragazzo).
Se invece alla radice RAGAZZ aggiungiamo il suffisso ACCI e la desinenza O, troviamo la parola RAGAZZACCIO (ragazzo cattivo).
Se aggiungiamo alla radice RAGAZZ il suffisso ON e la desinenza E, ci troviamo di fronte ad un RAGAZZONE (ragazzo grande e grosso).
Come puoi vedere, aggiungendo un suffisso al nome, si puo’ esprimere un giudizio su ciò di cui si parla, si può indicare una qualità di qualcosa.
Matteo è un ragazzetto di dodici anni.
Matteo ne combina di tutti i colori: è proprio un ragazzaccio!
Matteo sembra più grande dei suoi coetanei: è un ragazzone!
I nomi quindi possono essere alterati in diminutivi (ragazz-ino), accrescitivi (ragazz-one), dispregiativi (ragazz-accio), vezzeggiativi (ragazz-uccio).
Anche i nomi propri possono subire alterazioni: Carlo, Carletto, Carlino, Carluccio, Carlone.
ADESSO GIOCA!
INDIVIDUA NELL’ELENCO I NOMI ALTERATI
http://www.atuttalim.it/index.php/analisi-grammaticale-i-nomi-alterati
http://www.atuttalim.it/index.php/analisi-gramm-i-nomi-alterati-3
http://www.atuttalim.it/index.php/analisi-gramm-i-nomi-alterati-4
http://www.atuttalim.it/index.php/analisi-gramm-i-nomi-alterati-5
I NOMI DERIVATI
Come abbiamo visto, i nomi sono formati da una parte invariabile, la RADICE, e da una parte variabile, detta DESINENZA.
I nomi PRIMITIVI sono quelli formati soltanto dalla radice e dalla desinenza e non derivano da altre parole.
I nomi derivati sono formati dalla stessa radice di un nome primitivo, ma con l’aggiunta di un prefisso (una parte che si mette all’inizio della parola) o di un suffisso ( parte che si mette dopo la radice), oppure di entrambi, diventano parole con un significato diverso da quello del nome primitivo dal quale derivano.
Facciamo un esempio:
dal nome primitivo CARTA derivano i nomi CARTOLAIO, CARTOLINA, CARTOLERIA che hanno significati diversi.
CART – A
CART – OLINA
CART – OLAIO
CART – OLERIA
dal nome primitivo FIORE derivano i nomi FIORAIO, FIORIERA…
Dal nome MAR – E, derivano i nomi MARINAIO, MAREA…che come puoi vedere hanno un significato proprio.
Dal nome PAZIENZA deriva il nome IM-PAZIENZA, che è il suo esatto opposto.
Dal nome SALE deriva il nome IN – SAL – ATA.
A differenza dei nomi alterati, che aggiungono alla parola originaria delle sfumature di significato, esprimendo il giudizio di chi parla (cagnaccio, cagnolino, ragazzone, ragazzaccio, ragazzetto…), i nomi derivati sono parole che hanno un significato proprio e diverso da quello della parola da cui traggono origine.
Pensa, per esempio, che la parola DENTIFRICIO deriva dal nome DENTE, ma è evidente che le due cose sono del tutto diverse.
Se questa breve spiegazione ti è stata chiara, puoi provare a fare un esercizio on – line, nel quale dovrai individuare, in un elenco, alcuni nomi derivati.
ESERCIZIO
http://www.atuttalim.it/index.php/grammatica-nommi-derivati-1
http://www.atuttalim.it/index.php/grammatica-nommi-derivati-2
http://www.atuttalim.it/index.php/grammatica-nommi-derivati-3
http://www.atuttalim.it/index.php/grammatica-nommi-derivati-4
http://www.atuttalim.it/index.php/grammatica-nommi-derivati-5
PREDICATO VERBALE E NOMINALE
Tradizionalmente in una frase deve essere presente almeno un predicato (nella forma di un verbo di modo finito*) che può essere accompagnato da un soggetto.
In alcuni casi il soggetto, seppure non espresso, si desume dal predicato (es.: Studio. ⇒ Soggetto implicito: IO).
Fanno eccezione i verbi impersonali, i quali sono verbi usati senza un riferimento specifico a una persona che ne sia il soggetto (es.: Piove. Nevicherà. Fa caldo).
In generale, quindi, la frase minima è costituita da soggetto e predicato.
Il soggetto è la persona, l’animale o la cosa di cui si parla in una frase.
E’ l’elemento della frase cui si riferisce il predicato. E’ chi o che cosa compie o subisce l’azione espressa dal verbo, oppure è la persona, l’animale o la cosa a cui è attribuita una qualità o uno stato.
Il predicato (dal latino praedicatum, “ciò che è affermato”) è ciò che si dice del soggetto.
Il predicato è un verbo che sta ad indicare l’azione che il soggetto compie (predicato verbale).
Oppure è formato dal verbo essere + un aggettivo o un nome per indicare CHI E’ , COM’E’, COS’E’, il soggetto della frase (predicato nominale).
Carlo dorme. (Che cosa fa? PREDICATO VERBALE)
Michele ha studiato. (Che cosa ha fatto? PREDICATO VERBALE)
Mio padre tornerà. (Che cosa farà? PREDICATO VERBALE)
Carlo è un avvocato. (Chi è? PREDICATO NOMINALE)
Il miele è dolce. (Com’è? PREDICATO NOMINALE).
L’autobus è un grosso veicolo . (Cos’è? PREDICATO NOMINALE).
Nel predicato nominale il verbo essere svolge la funzione di copula (dal latino copula, -ae, “laccio, catena, legame”), perché lega il soggetto con la parte nominale costituita dal sostantivo o dall’aggettivo e avente la funzione di definirne qualità e caratteristiche.
Quando il verbo essere significa stare, trovarsi e appartenere, ha funzione di predicato verbale.
Il verbo essere, nella sua funzione copulativa, può essere sostituito da altri verbi, che svolgono il compito di legare il soggetto con un nome o un aggettivo, dando luogo ad una struttura equiparabile al predicato nominale.
Questi verbi devono essere seguiti da un nome o un aggettivo perché possano dare senso compiuto alla frase.
Es.: Giorgio sembra felice.
Sembra è un verbo che funziona da legame tra il nome Giorgio e l’aggettivo felice.
La frase “Giorgio sembra” non seguita da un nome o da un aggettivo, non è un’espressione dotata di senso compiuto (come lo è per esempio la frase “Giorgio dorme.”)
Si può quindi dire che i verbi detti copulativi non possono stare da soli, come puoi vedere nell’esempio che segue
Es. : 1) Michele è diventato un bravo bambino. 2) Michele è diventato…
La frase numero 2 non è completa.
Diversamente dai verbi predicativi, in grado di formare autonomamente un predicato verbale, i verbi copulativi devono essere seguiti da un nome o un aggettivo perché possano dare un senso compiuto ala frase:
Giorgio studia.⇒ STUDIA verbo predicativo (la frase ha un senso compiuto).
Giorgio pare.⇒ PARE verbo copulativo (la frase non ha senso compiuto ⇒ Giorgio pare… Che? Come? ).
Tra i verbi copulativi più frequentemente usati, è possibile citare:
- verbi quali parere, sembrare, diventare, divenire: “Tu diventerai ricco” (in questa frase il verbo diventare ha funzione e significato simile al verbo essere.
- verbi appellativi, che cioè “danno un nome” al soggetto, come dire, chiamare, soprannominare: “Giuseppe venne soprannominato «il Rosso»”.
- verbi elettivi, che indicano una elezione o una nomina ricevuta dal soggetto, come fare, eleggere, nominare, creare: “Matteo è stato eletto sindaco”.
- verbi estimativi, che danno un giudizio di stima o di merito sul soggetto, come ritenere, giudicare, credere, stimare: “Giorgio è ritenuto un ottimo avvocato”.
——————————————
*I verbi di modo finito sono quelli espressi all’indicativo, congiuntivo, condizionale e imperativo.
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PREDICATO VERBALE E PREDICATO NOMINALE
ESERCIZI SU PREDICATO VERBALE E NOMINALE DA ZANICHELI
IL PREDICATO VERBALE – VIDEO 1
IL PREDICATO VERBALE – VIDEO 2
Il complemento oggetto completa il significato del predicato verbale e si colloca generalmente dopo di esso.
Può essere costituito da un nome o da qualsiasi parte del discorso sostantivata* e non è mai preceduto da una preposizione.
Osserva le frasi che seguono. Il complemento oggetto è la parola evidenziata.
Tra parentesi è indicata la parte del discorso che funge da complemento oggetto.
• Ho incontrato Giorgio a Milano. (Un nome).
• La professoressa ha interrogato me questa mattina. (Un pronome).
• In estate arriva il caldo. (Un aggettivo sostantivato).
• Mi aspetto il meglio da te. ( Un avverbio sostantivato).
• Mi piace viaggiare. (Un verbo sostantivato).
• Spiegami il perché. (Una congiunzione sostantivata).
Il complemento oggetto di solito segue il predicato verbale, ma ci sono alcuni casi in cui lo precede:
• se il complemento oggetto è costituito dalle particelle pronominali dei verbi riflessivi.
Mia sorella si trucca troppo. (Si = Se stessa. Particella pronominale con funzione di complemento oggetto)
Mio padre ci chiamerà domani. (Ci = Noi)
• se il complemento oggetto è costituito da un pronome interrogativo o accompagnato da un aggettivo interrogativo.
Chi sta cercando?
Quale stanza hai prenotato?
• se nella frase si vuole dare particolare importanza al complemento oggetto.
Tre denti mi ha tolto il dentista!
I pronomi personali con funzione di complemento oggetto sono graficamente uniti al predicato quando quest’ultimo è un verbo al modo imperativo, infinito, gerundio e participio passato.
Es:
1- Ascoltami! = Ascolta me.
2. Devi ascoltarmi. = Devi ascoltare me.
3. Ascoltandomi potrai imparare molte cose. = Ascoltando me.
4. Ascoltatolo, capii la verità. = Ascoltato lui.
Il complemento oggetto partitivo è preceduto dall’articolo partitivo del, dei, delle, degli.
Es.:
1- Ho comprato del pane.
2- Abbiamo incontrato delle amiche.
*Qualunque parte del discorso diversa dal nome assume la funzione di sostantivo quando è preceduta da un articolo.
In questo caso si parla di parti del discorso sostantivate, perché la loro funzione nella frase è quella del sostantivo.
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INDIVIDUA IL COMPLEMENTO OGGETTO
Quando parliamo, noi non pronunciamo le sillabe delle parole tutte allo stesso modo:
c’è sempre una sillaba sulla quale la nostra voce cade con maggiore forza.
L’ACCENTO
Questa forza della voce è l’accento.
Il segno dell’accento si mette quando la nostra voce
cade con maggiore forza sull’ultima lettera di una parola:
sincerità, verità, caffè, bignè, lunedì, perciò, però, falò, tribù, gioventù, ragù…
Alcune volte, a seconda di dove cade, l’accento cambia il significato delle parole:
faro – farò, meta -metà, papa – papà...
Alcuni monosillabi hanno sempre l’accento: già, giù, più, può, ciò.
Altri non hanno mai l’accento: qui, qua, fu, fa, sto, su, va.
Altri possono avere l’accento o non averlo, a seconda del loro significato:
la – là, li – lì, si – sì, ne – nè, se – sè, da – dà, te – tè.
Sì vuole l’accento quando è il contrario di no.
Dà vuole l’accento quando significa dare ed è terza persona singolare del verbo.
Dì accentato significa “giorno”.
Là e lì vogliono l’accento quando indicano una posizione.
Tè vuole l’accento quando indica una bevanda.
Né vuole l’accento quando significa “e neanche”, “non”
e comunque rappresenta una negazione.
(Né la pasta, né la minestra= Non la pasta e neanche la minestra.)
Ricorda poi che e = congiunzione, è = verbo essere.
CLICCA SOTTO PER FARE IL GIOCO ON-LINE
E’ o E?
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TEST ON-LINE SULL’ACCENTO
testmoz.com/473334
E’ – E
E’ (verbo essere) spiega
chi è, cos’è, com’è, dove si trova
una persona, una cosa o un animale.
E (congiunzione) unisce parole e frasi.
Esempio:
Anna e Elsa sono sorelle.
Il verbo essere può indicare:
CHI E’? COSA E’?
Anna è una pricipessa.
Elsa è la sorella di Anna.
Olaf è un pupazzo di neve.
Kristoff è il fidanzato di Anna.
COM’E’?
Anna è sorpresa.
Elsa è triste.
Olaf è innamorato.
Kristoff è coraggioso.
DOV’E’?
Anna è sulla barca.
Elsa è nel castello.
Sven è sul ghiaccio.
Olaf è al mare.
I VERBI
I verbi indicano le azioni compiute
da persone, animali, cose.
I verbi sono indispensabili per costruire una frase.
Infatti una frase deve contenere almeno due elementi:
il soggetto (che è la persona, l’animale o la cosa che compie un’azione)
e il verbo (l’azione compiuta dal soggetto).
Esempio: Il gatto dorme.
CHI? Il gatto.
CHE AZIONE COMPIE? Dorme.
SONO VERBI:
BALLARE
CORRERE
GIOCARE
NUOTARE
SALTARE
Le azioni indicate dai verbi possono avvenire in tempi diversi,
cioè possono essere presenti, passate o future.
ESEMPIO:
PASSATO: Ieri ho giocato.
PRESENTE: (Adesso) Io gioco.
FUTURO: Domani giocherò.
NOTA BENE: nella frase “Ieri ho giocato“, ho è voce del verbo avere e aiuta a formare il tempo passato.
Infatti in questo caso AVERE = AVER COMPIUTO UN’AZIONE.
LE TRE CONIUGAZIONI
I verbi possono terminare in
-are (come mangiare),
-ere (come correre),
-ire (come dormire).
I verbi che terminano in -are appartengono alla prima coniugazione.
I verbi che terminano in -ere appartengono alla seconda coniugazione.
I verbi che terminano in -ire appartengono alla terza coniugazione.
I verbi essere e avere si declinano secondo una coniugazione propria.
CLICCA QUI SOTTO PER FARE
ALCUNI ESERCIZI ON-LINE SUI VERBI
http://www.baby-flash.com/2/italiano/verbi/verbi_petali/verbi_petali1.swf
http://www.baby-flash.com/lavagna/verbi1.swf
http://www.baby-flash.com/2/italiano/verbi/verbi_esatti/verbo_esatto1.swf
COSA SONO LE SILLABE
Le sillabe sono gruppi di lettere pronunciati con una sola emissione di voce.
Sono le piccole unità in cui è possibile scomporre le parole.
Ogni parola si compone almeno di una sillaba,
infatti le parole più brevi si chiamano monosillabi.
Saper dividere le parole in sillabe è indispensabile
per andare correttamente a capo di riga.
La sillaba può essere anche di una sola lettera (una vocale),
oppure di due, tre e quattro lettere (vocale + consonanti).
REGOLE BASILARI PER LA DIVISIONE IN SILLABE
LE LETTERE DOPPIE SI SEPARANO
pal/la gat/to giac/ca gom/ma
IL SUONO CQ SI DIVIDE COME SE FOSSE UNA DOPPIA
ac/qua ac/qua/rio ac/quaz/zo/ne ac/quo/li/na
I SUONI SC, GN, GL, STR, TR, DR, BR, GR
NON SI SEPARANO MAI
pe/sce stra/da co/ni/glio ra/gno dra/go
tre/no bra/vo
I SUONI QUA, QUE, QUI, QUO NON SI SEPARANO MAI
qua/der/no quer/cia cin/que li/quo/re quat/tro
I GRUPPI MP, MB SI SEPARANO
bam/bo/la cam/pa/na bam/bi/ni im/bu/to
LE CONSONANTI L, R, N SI STACCANO
DALLA CONSONANTE CHE VIENE DOPO
tor/ta al/be/ro car/ta den/te
SE LA VOCALE E’ LA PRIMA LETTERA PUO’ STARE DA SOLA
a/qui/la e/li/ca i/so/la o/ca e/de/ra
I connettivi sono quelle espressioni che servono
per legare le parti di un discorso,
oppure le frasi tra di loro.
Si può dire che funzionano da ponte
per collegare in modo logico e sensato
le cose che diciamo o che scriviamo.
I connettivi possono stabilire
un rapporto di causa-effetto tra gli eventi.
Poniamo l’esempio tra due eventi:
1- PIOVE 2- PRENDO L’OMBRELLO
CAUSA = PIOVE.
CONSEGUENZA = PRENDO L’OMBRELLO.
La CAUSA è il motivo per cui capita un fatto e ci dice perché una certa cosa è successa.
La CONSEGUENZA è ciò che succede per effetto della causa, il risultato che ne deriva.
La parola che di solito indica la causa è PERCHÉ.
Prendo l’ombrello perchè piove.
Ma per indicare la causa, possiamo usare anche le parole:
SICCOME, DATO CHE, VISTO CHE,
Dato che piove, prendo l’ombrello.
Visto che piove, prendo l’ombrello.
Siccome piove, prendo l’ombrello.
Le parole che indicano
la conseguenza possono essere
PERCIÒ, ALLORA, QUINDI.
Piove perciò prendo l’ombrello.
Piove allora prendo l’ombrello.
Piove quindi prendo l’ombrello.
I connettivi inoltre:
-possono indicare l’ordine cronologico con cui si uniscono i vari eventi.
Prima, una volta, un giorno, qualche tempo fa, ora, adesso, nel frattempo, intanto, poi, dopo, successivamente, in seguito, alla fine…
-possono introdurre una spiegazione.
Cioè, infatti, ad esempio, in altre parole….
-possono stabilire un rapporto di opposizione rispetto a quanto già detto.
Ma, invece, però, ciononostante, malgrado ciò, tuttavia, pure, nondimeno, eppure, mentre, al contrario.
LA FAVOLA
Il leone e il topo
“Un topolino correva sul corpo di un leone addormentato, il quale si svegliò e, acchiappatolo, fece per ingoiarlo.
La bestiola cominciò a supplicare di risparmiarlo e a dire che, se ne usciva salvo, gli avrebbe dimostrato la sua riconoscenza. Il leone scoppiò a ridere e lo lasciò andare.
Ma dopo non molto gli capitò un caso in cui dovette davvero la sua salvezza alla riconoscenza del topolino.
Alcuni cacciatori riuscirono a catturarlo e lo legarono con una corda ad un albero.
Il topo allora udì i suoi lamenti, accorse, rosicchiò la corda e lo liberò, soggiungendo: “Tu quella volta, t’eri fatto beffe di me, perché non immaginavi mai di poter avere una ricompensa da parte mia. Sappi ora che anche i topi sono capaci di gratitudine”.
La favola mostra come, col mutar delle circostanze, anche i potenti possono aver bisogno dei deboli.
Esopo, CCVI.
Cosa è una favola?
La favola è un breve componimento con protagonisti in genere animali dal comportamento antropomorfizzato (animali con il linguaggio, i comportamenti, i sentimenti e i difetti degli uomini).
I personaggi e gli ambienti della favola sono realistici.
Gli avvenimenti narrati sono semplici e veloci, ed è molto chiaro l’intento morale, a volte indicato dall’autore stesso nella parte finale del testo.
La favola contiene cioè un insegnamento utile agli uomini.
Nella favola è praticamente assente l’elemento fantastico e magico, che invece caratterizza la FIABA, spesso popolata di maghi, folletti, fate, orchi, giganti ed altri personaggi di fantasia, inesistenti nel mondo reale.
Osserva la favola “Il leone e il topo”.
Come vedi, è chiaro sin dal titolo che si parla di personaggi completamente diversi tra loro: il leone, forte e potente; il topo piccolo e modesto, apparentemente incapace di compiere gesti importanti.
Infatti il leone scoppia a ridere quando il topo gli promette la sua riconoscenza, in cambio della salvezza.
Il leone è incredulo e divertito al solo pensiero che il topo possa fare qualcosa per un grande come lui.
Comunque, di fronte alle sue suppliche, si mostra compassionevole e lo lascia andare.
A questo punto subentra la vicenda che introduce l’insegnamento: il leone viene catturato e legato con una corda.
Il topo accorre in suo aiuto.
In questa favola si evidenziano sentimenti come la compassione (del leone) e la gratitudine (del topo).
Inoltre si può capire che le opinioni basate sulle apparenze sono spesso sbagliate: il leone non crede possibile che il topolino, nella sua modestia, potrebbe mai aiutarlo.
Ed ecco il fatto che dimostra il contrario: il topo riconoscente accorre (si precipita in aiuto), rosicchia la corda che imprigiona il leone e lo salva.
La favola mostra come, col mutar delle circostanze,
anche i potenti possono aver bisogno dei deboli.
ADESSO RISPONDI ALLE DOMANDE
testmoz.com/463459
La frase minima è la frase più breve che si possa fare,
dotata di un senso.
In una frase, perché abbia un senso,
devono essere chiari (anche se non espliciti),
almeno due elementi:
il soggetto e il predicato.
Il soggetto è la persona, l’animale o la cosa
che compie l’azione (o la subisce),
e comunque rappresenta ciò di cui si parla nella frase.
Il predicato parla del soggetto,
dicendo chi è, com’è o che cosa fa.
Se ci pensi, predicare significa dire una cosa.
Il predicato infatti dice qualche cosa del soggetto.
Il predicato è ciò che hai sempre chiamato VERBO.
1- Esempio. Luca mangia.
Luca = soggetto (compie l’azione di mangiare)
mangia = predicato (dice “CHE COSA FA” Luca)
2- Io sono bravo.
Io è il soggetto. (CHI? IO)
Sono bravo è il predicato (dice com’è il soggetto)
3- Dormi?
In questa frase il soggetto non è esplicito, cioè non viene scritto espressamente.
Però il verbo fa capire chiaramente che il soggetto è: TU. (Tu dormi?)
4- Carlo è stato lodato.
Carlo = soggetto. (CHI?, DI CHI SI PARLA?)
Ma osserva bene: non è lui che compie l’azione di lodare. Qualcun altro lo ha lodato.
Infatti in questa frase il soggetto non compie, ma “subisce” un’azione.
Se allarghiamo la frase, possiamo indicare chiaramente da chi è stato lodato:
Carlo è stato lodato dalla maestra.
Il soggetto quindi, è la persona,
l’animale o la cosa di cui si parla,
che fa qualche cosa o alla quale viene fatto qualcosa.
Facciamo un altro esempio:
5.-Il leone è stato catturato.
Soggetto: il leone (CHI?)
Predicato: è stato catturato (CHE COSA GLI E’ SUCCESSO?)
In una frase allargata si può capire da chi è stato catturato:
Il leone è stato catturato dai cacciatori.
Quando in una frase cerchi il soggetto, poniti la domanda: CHI? (chi compie o subisce l’azione, di chi si parla?)
Quando in una frase cerchi il predicato, poniti la domanda: CHE COSA FA? CHI E’? COM’E’?
Una frase può essere arricchita da tante altre parole
che rendono il significato sempre più chiaro:
sono le espansioni.
I grilli cantano. = FRASE MINIMA
Di notte i grilli cantano in campagna. = FRASE CON ESPANSIONI
ESPANSIONE = DI NOTTE (quando?)
ESPANSIONE = IN CAMPAGNA (dove?)
Le espansioni arricchiscono la frase minima, la espandono, cioè la allargano.
Possono rispondere alle domande:
– DI CHI? La mamma di Lucia insegna.
– QUANDO? A Natale la scuola è chiusa.
– DOVE? Luca va a scuola.
– A CHI? Parlo a Michele.
– CHE COSA? Leggo un libro.
– COME? Caterina ascolta attentamente.
– DA CHI? Carlo è stato elogiato dalla maestra.
– CON CHI? Vado a casa con mio nonno.
L’apostrofo si usa quando
la vocale finale di una parola viene eliminata
perchè anche la parola che segue inizia con vocale.
L’apostrofo è il segno lasciato
dalla vocale che se ne va.
LO OROLOGIO L’OROLOGIO
Gli articoli determinativi la e lo si apostrofano
davanti a tutti i nomi che iniziano per vocale.
Ugualmente si apostrofano
nello, nella, sullo, sulla, dello, della
quando seguono parole che inizia
NELLO ORTO NELL’ORTO
Gli articoli indeterminativi un e uno
non vogliono mai l’apostrofo.
ESEMPIO: UN OROLOGIO
L’ articolo indeterminativo una
si apostrofa solo davanti ai nomi femminili
che iniziano per vocale.
UNA OCA UN’OCA
L’APOSTROFO SI USA:
– CON CI DAVANTI AL VERBO ESSERE
– NELLE SEGUENTI ESPRESSIONI CON DI:
D’ACCORDO, D’ORO, D’ARGENTO, D’EPOCA
– NELLE SEGUENTI ESPRESSIONI CON DA:
D’ORA IN POI, D’ALTRONDE, D’ALTRA PARTE
– IN ESPRESSIONI COME:
A QUATTR’OCCHI, SOTT’OCCHIO, SENZ’ALTRO,
NIENT’ALTRO, QUANT’ALTRO, MEZZ’ORA.
FACCIAMO UN ESERCIZIO SULL’APOSTROFO.
CLICCA QUI SOTTO.
http://www.bancadelleemozioni.it/flash/morfologia/elisione01.html
CON H, SENZA H
Ho, hai, ha, hanno sono voci del verbo avere e significano:
– PROVARE UNA SENSAZIONE
– POSSEDERE
– oppure si usano per formare il TEMPO PASSATO.
ATTENZIONE!!
– O significa OPPURE
– ANNO indica un periodo di tempo.
– A, AI, rispondono alle domande: A CHI? DOVE? QUANDO? COME? A FARE CHE COSA?
AVERE come PROVARE UNA SENSAZIONE
Il gatto ha freddo.
Il bambino ha fame.
Il cavallo ha sete.
Il bambino ha paura.
Il cane ha vergogna.
Il bambino ha sonno.
AVERE come POSSEDERE
Il bambino ha molti giocattoli
La mamma ha molte scarpe.
Io ho molti amici.
AVERE come AVER COMPIUTO UN’AZIONE.
Ho, hai, ha, hanno sono voci del verbo avere e si usano per formare il tempo passato.
In questo caso AVERE = aver compiuto un’azione.
PASSATO |
PRESENTE |
FUTURO |
Ieri la mamma ha scritto una e-mail. |
La mamma scrive una e-mail. |
Domani la mamma scriverà una e-mail. |
AVERE = AVER COMPIUTO UN’AZIONE.
Un mese fa ho visto il Colosseo.
Ieri pomeriggio hai fatto i compiti?
Ieri la mamma ha scritto una e-mail.
Domenica scorsa i miei amici hanno giocato a pallone.
SENZA H
– O significa OPPURE
– ANNO indica un periodo di tempo.
– A, AI, rispondono alle domande: A CHI? DOVE? QUANDO? COME? A FARE CHE COSA?
Ti piace il gelato al cioccolato o al limone?
In che anno sei nato ?
A chi?
Ogni giorno dò un bacio a mamma.
Dove?
Io vado a giocare ai giardini.
Quando?
Il panettone si mangia a Natale.
Come?
Io vado a scuola a piedi.
A fare che cosa?
Io vado in piscina a nuotare.
LA DESCRIZIONE
SIMILITUDINI
Per descrivere in modo efficace si utilizzano i paragoni, cioè confronti tra due elementi che hanno caratteristiche comuni.
La similitudine è un‘espressione che ci permette di paragonare persone, animali o cose, sulla base della somiglianza di alcune loro caratteristiche comuni:
Esempi:
- Maria è bella come un fiore.
- Il cane del poliziotto è intelligente come un uomo.
- Il mio cuore sembra una casa calda e accogliente.
- I suoi capelli sembrano fili d’oro e sono luminosi come i raggi del sole.
Questo tipo di espressione si caratterizza per la presenza della parola “come” o del verbo “sembrare“, che riprendono le qualità da trasportare da un primo contesto a un secondo contesto.
REGOLE PER SCRIVERE UN BEL TESTO DESCRITTIVO
- Usare frasi brevi, per una maggiore chiarezza della descrizione.
- Usare vari e ricchi termini relativi ai dati sensoriali, per fornire un’immagine chiara e precisa di quello che si sta descrivendo.
- Usare gli aggettivi, che indicano le qualità riferite alla persona, all’animale, alla cosa o all’ambiente che si sta descrivendo.
SCALETTA DESCRIZIONE ANIMALI
- Introduzione: che animale è; razza; come si chiama; ambiente in cui vive.
- Descrizione aspetto fisico: corpo, pelo, testa, muso, bocca, occhi, orecchie, denti, artigli, coda, zampe. Usa i dati sensoriali e non ti dimenticare dei dati uditivi (versi animali) e dei dati di movimento.
Racconto anche dell’alimentazione e di eventuali cure particolari.
Ricordati di usare le similitudini.
- Descrizione carattere, comportamento, abitudini.
Racconta anche che rapporto ha con te l’animale, cosa ti piace fare con esso e quali sentimenti / emozioni ti suscita.
Se ci sono, racconta uno o più episodi significativi.
- Conclusione.
ASPETTO FISICO: UN PO’ DI TERMINOLOGIA
Corpo
Forma: minuscolo, media grandezza, possente e robusto, corpo massiccio, ma allo stesso tempo agile e scattante, forma allungata, ha il corpo lungo circa un centimetro, corpo levigato e flessuoso, corporatura agile e snella, …
Pelo
Riccioluto, folto, rado, ispido, soffice, folta pelliccia, il pelo sotto la pancia è più morbido e folto, lucente, morbido, liscio, caldo, ben curato, vellutato, con chiazze, lungo fino a terra, ricciuto, …
Colore: nero, marrone, bianco, a macchie, color nocciola, di colore rossiccio chiaro con tante striature rosso marroncino, …
Testa
Piccola, forma triangolare, piccolo capo, …
Muso
Rotondo, il muso è bianco vicino alla bocca ed è rosa vicino al naso, musetto a forma triangolare, paffuto, magro, …
Bocca
Becco corto e robusto, …
Occhi
Rotondi, piccoli, grandi, tondi, due occhi grandi e lacrimosi che gli danno un aspetto triste e dolce nello stesso tempo, lucidi, occhi frangiati da lunghe ciglia perfette, umidi e dolci, sporgenti con antenne, occhi obliqui, rotondi, …
Colore: neri, azzurri, verdi, gialli, giallo-verde, blu nerastro, marroni, …
Come: brillanti, svegli, luminosi, vispi, splendenti, dolci, bellissimi ed espressivi, …
Orecchie
Lunghe, corte, piccole, due orecchie appuntite di colore rossiccio all’esterno e rossiccio chiaro all’interno, due soffici orecchie cadenti, lunghissime e pendenti, …
Denti
Affilati, aguzzi, …
Artigli
Affilati, …
Coda
Lunga, corta, magra, la sua coda è lunga e folta, grossa,
agitandola e muovendola ci comunica i suoi stati d’animo, …
Zampe
Corte, snelle, muscolose, magre, forti e agili…
TESTO NARRATIVO
CHE COS’E’
E’ un testo che racconta un’esperienza personale dello scrittore oppure la storia e le avventure di personaggi reali o fantastici.
Sono testi narrativi i racconti, i romanzi, le favole, le fiabe ecc.
ELEMENTI ESSENZIALI DELLA NARRAZIONE
- I PERSONAGGI che possono essere, oltre al protagonista e ad altri personaggi secondari:
- l’antagonista (personaggio che intralcia il protagonista)
- l’aiutante (personaggio che aiuta il protagonista)
- l’oppositore (personaggio alleato dell’antagonista)
- LE AZIONI CHE COMPIONO
- I LUOGHI IN CUI SI SVOLGONO LE VICENDE
- IL TEMPO DURANTE IL QUALE SI SVOLGONO LE AZIONI
COME E’ COMPOSTO
TITOLO
Dal titolo chi legge può capire ciò di cui parla il testo.
⇓
INTRODUZIONE
L’introduzione contiene le informazioni che permettono al lettore di orientare la propria attenzione sull’argomento centrale del testo.
Vengono indicati:
– il protagonista (o i protagonisti) del racconto di cui possono essere descritti l’aspetto fisico e la personalità in modo più o meno preciso;
– il tempo in cui avvengono i fatti narrati;
– lo spazio in cui si svolge la vicenda (la descrizione degli spazi contribuisce molto a creare una certa atmosfera e spesso caratterizza i personaggi).
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SVOLGIMENTO
E’ la situazione centrale nella quale vengono narrati i fatti del racconto secondo un ordine logico e temporale.
Ciò vuol dire che i fatti della narrazione sono legati da un rapporto di causa (si evidenziano fatti e conseguenze) e si susseguono seguendo un ordine cronologico.
Per esprimere la successione temporale degli eventi puoi usare espressioni come:
IN UN PRIMO TEMPO, INIZIALMENTE, PRIMA, ALL’INIZIO
⇓
POI, IN SEGUITO, DOPO, ALLORA, IN UN SECONDO MOMENTO,
SUCCESSIVAMENTE, QUALCHE TEMPO DOPO
⇓
INFINE, ALLA FINE
Per evidenziare i nessi logici tra i fatti puoi usare parole come:
PERCHE’, PERCIO’, QUINDI, DI CONSEGUENZA, INFATTI, DUNQUE, PERO’
Il testo è costituito da una serie di unità minime, aventi ciascuna un senso compiuto, chiamate sequenze.
In un testo narrativo possono essere presenti sequenze
- narrative (contengono un’azione)
- riflessive (contengono una riflessione dei personaggi o dell’autore)
- descrittive (contengono una descrizione di luoghi, personaggi ecc.)
- dialogiche (occupate dai dialoghi dei personaggi).
Vengono espressi, inoltre, le emozioni e gli stati d’animo di chi narra o dei personaggi della storia.
⇓
CONCLUSIONE ( o SCIOGLIMENTO)
E’ la soluzione di tutta la vicenda.
E’ la parte finale del testo che spiega come si concludono gli eventi e può contenere una riflessione o un commento dello scrittore su ciò che ha narrato.
CLICCA QUI SOTTO PER LEGGERE
LA FAVOLA DEL BRUTTO ANATROCCOLO COME
ESEMPIO DI TESTO NARRATIVO.