“L’ORTO”
Tratto da “Mio nonno era un ciliegio” di Angela Nanetti. Einaudi ragazzi
Dopo la morte della nonna, il nonno Ottaviano continuò ad abitare dov’era sempre vissuto e a coltivare l’orto. Dei polli, invece, non si occupò più: un giorno li prese, li mise dentro le ceste e li portò in paese, dal solito macellaio. Tenne solo Alfonsina e le ochette, che intanto si erano fatte grandicelle. Quando andavamo da lui, quasi tutte le settimane, che il nonno fosse in cortile, in casa o nell’orto, era sempre seguito da Alfonsina e dalla sua covata.
7 Se io la chiamavo, Alfonsina mi veniva incontro, ma, appena il nonno si allontanava da lei, si girava e gli correva dietro, sbattendo le ali e starnazzando; e i piccoli si affannavano a seguirla. Insomma, se volevo stare con loro, mi dovevo mettere in fila anch’io e tutti insieme andavamo nell’orto. L’orto del nonno era molto grande, perché di mestiere lui faceva l’ortolano, come suo padre Vincenzo e suo nonno Giovanni. Iniziava dietro la casa, dopo il recinto del pollaio, e da una parte arrivava al fiume, dall’altra alla strada che portava in paese. L’orto era bello, così ordinato che pareva un giardino…
15 A camminarci in mezzo, l’orto non era mai vuoto, ma soprattutto era bellissimo in primavera, quando i meli erano in fiore, gli ortaggi appena spuntati e Felice, il ciliegio, tutto ricoperto di bianco. Il ciliegio era nell’angolo dell’orto tra la strada e il cortile, così che, grande com’era, si vedeva da ogni parte.
19 Da quando era rimasto solo, il nonno passava molte ore sotto il ciliegio: prima ci accompagnava soprattutto me, ma ora aveva messo lì sotto la sedia della nonna Teodolinda e, quando l’orto lo lasciava libero dai lavori o si voleva riposare, si sedeva su quella sedia, con Alfonsina e le ochette accanto, e se ne stava ad occhi chiusi, senza muovere nemmeno un dito.
24 Una volta lo sorpresi così e gli domandai:
-Nonno sei morto?
Allora lui socchiuse un occhio, come facevano i polli della nonna, e mi fece cenno di andargli vicino.
-Mettiti qui,- mi disse, facendomi posto sulla sedia. Io mi sedetti e lui mi cinse le spalle con un braccio e con la mano mi coprì gli occhi.
-E adesso dimmi che cosa vedi,- mi sussurrò.
Io risposi che vedevo solo il buio e lui mi disse:
-Ascolta.
33 Allora ascoltai e sentii pigolare piano piano, poi un rumore tra le foglie.
-E’ un nido di cince. La vedi la mamma che porta da mangiare ai suoi piccoli?
Vedere non vedevo niente, ma sentivo un battito di ali e poi tutto un cip-cip. Accipicchia come strillavano!
-Li sta imboccando, – spiegò il nonno. –E adesso ascolta ancora.
38 Sentii un ronzio intenso.
-Queste sono le api che vanno al favo. Hanno succhiato i fiori e ora se ne tornano a casa con la pancia piena. Le vedi?
Ascoltai ancora e mi sembrò proprio di vederle, quelle povere api, con una pancia così grossa che quasi non ce la facevano a volare.
Allora il nonno mi tolse la mano dagli occhi e mi chiese:
44 -Capito? Se ascolti con attenzione e ti concentri, puoi vedere un mucchio di cose, come se avessi gli occhi aperti. E adesso ascolta il ciliegio che respira.
Io chiusi di nuovo gli occhi e sentii un’aria leggera che mi passava sul viso e tutte le foglie del ciliegio che si muovevano piano piano.
-E’ vero, nonno, Felice respira, – dissi.
Il nonno mi accarezzò la testa e continuò a stare immobile ancora un po’: io lo guardai e vidi che sorrideva.
Quando penso a nonno Ottaviano, non dimentico mai quel giorno in cui mi ha insegnato ad ascoltare il respiro degli alberi.
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